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Infortuni, il ruolo degli RLS

Quando si parla di Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) spesso si torna sul sentimento di solitudine che molti di loro avvertono. Non è un caso che in una precedente inchiesta svolta dalla Cgil Lazio risultava che quasi un terzo degli Rls in caso di bisogno di consigli o informazioni si rivolge principalmente a colleghi, amici o a internet.
Pochi chiedono sostegno alle strutture istituzionali come i servizi di prevenzione delle Asl o agli Organismi Paritetici e purtroppo ancor meno al sindacato aziendale o territoriale.Anche per ridurre questo senso di isolamento, annualmente, a partire dal 2008, la Cgil di Roma e del Lazio convocano una riunione degli Rls.
Un incontro che ha visto crescere i partecipanti e l’interesse; le sale via via più capienti ogni volta si riempiono.
Gli argomenti, nel corso degli anni, sono stati diversi e tutti legati all’attività e ai bisogni quotidiani di questa forma di rappresentanza dei lavoratori.
Nel 2010 ci si occupò dello Stress lavoro correlato, l’anno precedente di rischi e di Documento di Valutazione dei rischi, quest’anno di Infortuni e malattie professionali.E’ un argomento apparentemente abusato, le statistiche vengono periodicamente pubblicate: a ogni infortunio la contrizione è generale, le cause per la gran parte date per  conosciute. E quali sono? Il comportamento di volta in volta sbagliato, superficiale, di sufficienza dei lavoratori.
In particolare, recita una sfortunata campagna promossa dal Ministero, di coloro che “non si vogliono bene”. Recentemente sono stati introdotti due ulteriori argomenti: il primo che gli infortuni sono in netto calo e comunque più bassi della media europea, il secondo che per la maggior parte sono su strada e quindi accadono in un luogo in cui il mondo imprenditoriale c’entrerebbe poco.
Insieme all’Ires-Cgil nazionale abbiamo cercato di capire meglio come stanno le cose e soprattutto quali strumenti fornire agli RLS per muoversi agevolmente tra dati, affermazioni, proclami e campagne pubblicitarie tutte segnate da un eccesso di ottimismo.
Si badi bene, non con il desiderio di smentirle. Se i dati fossero sempre realmente positivi non potremmo che essere i primi a rallegrarcene: è in gioco la qualità della vita dei lavoratori e, spesso, la loro stessa salute. E su questo non si possono fare battaglie ideologiche.Un primo elemento che è necessario chiarire è che le statistiche vengono fatte sulla base degli infortuni denunciati e di quelli indennizzati.
È facile capire che la denuncia è di solito un atto volontario e non avviene in modo automatico. Può essere fatta o si può evitare di farla spinti da numerosi motivi, quali: la sottovalutazione del danno, il ricatto occupazionale, le pressioni del datore di lavoro, un’idea sbagliata di riconoscenza verso che ci “permette” di lavorare,  lavorare in una condizione di irregolarità  sia essa in “nero” o in “grigio” e altro ancora.
In particolare, questi ultimi casi sono tutt’altro che irrilevanti in un Paese che ha quasi un terzo degli occupati irregolari.
L’Inail accetta ogni denuncia, ma non le rifonde tutte: quindi, il dato degli indennizzati è ancora più ristretto di quello dei denunciati,questi elementi che appaiono forse, a una prima lettura, poco appassionanti sono però determinanti per capire l’entità del fenomeno infortunistico, le sue cause e, di conseguenza, verso quale direzione indirizzarsi per contrastarlo.
Per fare un esempio, la frequenza di infortunio in un territorio o in una categoria è calcolato sugli infortuni indennizzati. Potremmo perciò avere un dato di infortuni (denunciati) elevato e una frequenza infortunistica media o bassa, in quanto gli infortuni riconosciuti come tali e indennizzati dall’Inail sono stati pochi. Se si assume questo secondo dato non c’è allarme, se si prende il primo invece sì.Cercando di districarsi tra questi diversi elementi, ci si è trovati davanti a un dato che vede il Lazio in una fascia di infortuni preoccupante.
Negli ultimi dieci anni la diminuzione degli infortuni c’è stata, ed è stata pari al 2%, mentre la media nazionale è stata del 23%! Peraltro, quella diminuzione è concentrata quasi completamente nel 2009, nell’anno cioè, in cui è stato più forte l’abbattimento delle ore lavorate in seguito alla crisi economica. Crisi notoriamente concentrata proprio nelle categorie industriali e delle costruzioni, che rappresentano i settori più esposti a rischi gravi e mortali. Come si vede il volersi o meno bene c’entra poco o nulla.
Gli interventi degli RLS  hanno confermato che l’esposizione ai rischi è costante, che i documenti di rischio (Dvr), compresi quelli da interferenze (Duvri), sono in genere scritti in un’ottica formalistica.Gli estensori sembrano più preoccupati di dimostrare di aver adempiuto a un obbligo, avvertito come sostanzialmente inutile e vessatorio, che per perseguire reali politiche di prevenzione.
Non sono pochi gli RLS che vengono chiamati a sottoscrivere Dvr o Duvri senza essere stati minimamente coinvolti, o anche solo informati. Magari senza neanche aver potuto accedere ai dati e alle rilevazioni preparatorie. Ci sono stati anche casi di RLS che, a distanza di 15 mesi dall’elezione, non sono stati formati e quindi non hanno neanche le nozioni di base per sapere quali siano i loro compiti, diritti e doveri.
Dalla ricerca emerge anche che c’è un numero di aziende, fortunatamente ristretto, che hanno prodotto tra il 2006 e il 2008 più di 10 infortuni. Aziende per così dire “a costante vocazione infortunistica”.
Molte, se non tutte, sono realtà piccole o piccolissime che vivono soprattutto di appalti e subappalti.L’Inail ha apprezzato la ricerca svolta, riaffermando l’impegno dell’Istituto nella prevenzione dei rischi. Ha anche ribadito l’impegno a sottoporre agli Enti locali il Protocollo che è stato firmato con Cgil-Cisl-Uil Lazio per disciplinare le gare di appalto (oggi quasi sempre al massimo ribasso con abbattimenti che arrivano all’86% del prezzo d’asta).
Confermando che la stessa norma che impedisce di fare ribassi sui costi per la sicurezza viene da una parte elusa, dall’altra resa inutilizzabile dal fatto che tali costi vengono stabiliti in percentuale sul totale del costo dell’appalto, prescindendo da un dato evidente: l’oggetto dell’appalto stesso. Un conto è svolgere un lavoro di rifinitura, altra cosa è compiere scavi in galleria per la metropolitana.
Se l’ammontare complessivo dell’appalto è identico, il costo per la sicurezza è lo stesso, ma non sono gli stessi i rischi e il sistema di prevenzione, che è oggettivamente più costoso.Non mancano però anche gli interventi positivi di realtà ad alto rischio che danno al tema della salute e della sicurezza dei lavoratori l’attenzione che merita. Due realtà tra le altre: la centrale termica di Torre Valdaliga Nord e il Porto di Civitavecchia.
Daniele Ranieri RLS CGI
Fonte:sicurezzaelavoro.org

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