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Malattie professionali, diritti a giudizi

Dove non arrivano le leggi, interviene la giurisprudenza. Il rigore dei provvedimenti legislativi, in materia di prescrizione del diritto, spesso si scontra con problemi sociali ben più complessi nella realtà che, per essere risolti, hanno bisogno dell’intervento della Magistratura.

Tre importanti sentenze della Corte di Cassazione, superando alcuni limiti legislativi, offrono una lettura più estensiva delle tutele per chi è affetto da malattie professionali e anche per gli eredi. Storie diverse, ma con un unico filo conduttore che è l’inadeguatezza, a volte, dei termini della prescrizione del diritto alle prestazioni previdenziali e assistenziali del sistema assicurativo obbligatorio Inail.

Il primo caso preso in esame dalla Corte con la  sentenza dell’8 aprile 2011 n. 8249, promosso sulla base di un ricorso istruito dall’avv. Massimiliano Del Vecchio, consulente legale dell’Inca (Istituto Nazionale Confederale di Assistenza – Cgil), riguarda gli eredi di un dipendente dello stabilimento siderurgico di Taranto deceduto nel dicembre 1991 per una neoplasia polmonare provocata da una prolungata esposizione lavorativa a sostanze cancerogene. I superstiti hanno avanzato la richiesta di rendita all’Inail solo nel 2003, ben oltre i tre anni e centocinquanta giorni dalla morte del familiare assicurato, fissati dalla legge come limite per  poter rivendicare le prestazioni Inail.

Il motivo del ritardo è stato dovuto al fatto che soltanto dopo anni i superstiti sono riusciti a dimostrare sotto il profilo sanitario il nesso di causalità tra la morte del familiare e la sua attività professionale.

La risposta dell’Ente assicuratore è stata solo parzialmente positiva perché, pur riconoscendo loro il diritto alla rendita, ha ritenuto di doverla far decorrere dal 2003, cioè dal momento in cui gli eredi ne hanno fatto richiesta e non dal giorno dopo il decesso, come indica espressamente l’art. 105 del Testo Unico del 1965 sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali. La differenza non era di poco conto: erano in ballo gli arretrati di 12 anni. Per questa ragione, i superstiti hanno deciso di adire le vie legali.

In primo giudizio, la Corte di Appello di Lecce ha dato loro ragione, ma l’Inail è ricorsa in Cassazione, sostenendo la necessità di un’interpretazione non letterale della norma di legge. Da qui il pronunciamento di aprile della Corte di Cassazione che, rigettando il ricorso dell’Inail, ha affermato invece la retroattività del diritto alla rendita dei superstiti fin dal momento del decesso del familiare.

E secondo la sentenza non ci sono eccezioni alla regola. Per la Corte, non riconoscere i ratei della prestazione economica antecedenti alla domanda significa di fatto estinguere il diritto per il periodo nel quale gli eredi non erano in grado di farlo valere. Un pronunciamento importante che, nel rafforzare le ragioni per le quali l’Inca ha promosso questo ricorso e ha deciso di proseguire avanzando altre istanze, ribadisce ancora una volta come sia imprescindibile la consapevolezza dei diritti con la loro esigibilità. Da ciò consegue che anche il rispetto rigoroso dei termini di prescrizione o di ammissibilità delle richieste  per ottenere delle prestazioni, non può non contenere un margine di elasticità che permetta la piena fruizione dei benefici di legge. In questo caso, i superstiti hanno ottenuto il riconoscimento del pagamento dei ratei di rendita anteriori alla presentazione della domanda che l’Istituto ha cercato di negare.

Lo stesso concetto è stato espresso dalla Cassazione a marzo di quest’anno in altre due sentenze riguardanti il riconoscimento di aggravamento di una malattia professionale anche dopo i 15 anni  previsti per chieder la revisione della inabilità (ex art. 137 del Testo Unico), nell’ipotesi in cui il peggioramento delle condizioni di salute del lavoratore sia riconducibile al protrarsi del medesimo rischio morbigeno. Argomento sul quale già un anno fa la Consulta si era pronunciata in merito (sentenza n. 46/2010), accogliendo tale interpretazione.In questi casi, si trattava di due lavoratori affetti da ipoacusia professionale, già titolari di rendita per la stessa patologia che, trascorsi 15 anni, hanno chiesto di essere sottoposti a visita a causa di un aggravamento della malattia.

L’Inail in prima istanza e il Tribunale in sede di giudizio avevano respinto la richiesta richiamando il rispetto dei termini per la revisione dell’inabilità già riconosciuta, senza considerare il persistere dell’esposizione al medesimo rischio morbigeno derivante dal fatto di continuare a svolgere la stessa mansione.Le istanze sono state accolte dalla Cassazione l’8 e il 9 marzo 2011, con le sentenze n. 5548 e 5550, nelle quali la Corte ha ribadito, richiamandosi al precedente pronunciamento della Consulta, che, nei casi in cui si protrae l’esposizione al medesimo rischio professionale oltre tale termine, per il lavoratore si apre la possibilità di considerare l’aggravamento delle condizioni di salute come una vera e propria nuova patologia, anche se riconducibile alla prima.

In questo caso, l’originaria malattia professionale è stata considerata una concausa.La decisione dell Cassazione ha permesso ai lavoratori di fare un’altra denuncia all’Inail e di vedersi riaprire la decorrenza di nuovi termini per la revisione dell’inabilità. Ancora una volta è stata la Magistratura a sottolineare l’importanza primaria della tutela della salute delle lavoratrici e dei lavoratori, anche se questo significa derogare dal rigoroso rispetto dei termini della prescrizione fissati dalla normativa. Nel frattempo, l’atteggiamento dell’Inail di fronte a questa tipologia di casi non è ancora cambiato. Diverse sono, infatti, le domande inoltrate da altre persone malate che giacciono nei cassetti dell’Istituto, accantonate da mesi.

Peraltro, a distanza di più di un anno dalla sentenza della Corte Costituzionale, l’Inail non ha emesso alcuna circolare in merito, che faccia tesoro dell’orientamento giurisprudenziale.“L’auspicio – spiega Franca Gasparri, della presidenza dell’Inca – è che queste ultime sentenze possano indurre l’Istituto assicuratore a rivedere le proprie decisioni e ad accelerare il riconoscimento delle prestazioni, nel rispetto di quei principi che la giurisprudenza ha ampiamente confermato”.

Fonte:sicurezzaelavoro.org

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