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Rischio biologico in ambiente ospedaliero

L’ esistenza del rischio biologico è da presumere ubiquitaria in ambiente ospedaliero.

Ad esso sono considerati esposti non soltanto gli operatori che manipolano materiali biologici, ma tutti coloro direttamente coinvolti in attività di assistenza ai pazienti. Risulta escluso solo il personale con funzioni meramente direttive, organizzative, amministrative o con compiti prevalenti non assistenziali.

Le infezioni nosocomiali di tipo professionale possono essere causate da agenti trasmissibili per via aerea (o tramite droplet) e per contatto. Tra i primi, particolare rilevanza deve essere data alla tubercolosi per la frequenza crescente con cui si manifesta in questi ultimi tempi nella popolazione e la facilità con cui colpisce soggetti immunodepressi.

Le infezioni trasmesse per contatto comprendono infezioni oro-fecali, cutanee, da ectoparassiti, ma soprattutto infezioni trasmesse attraverso il sangue e altri materiali biologici infetti. Per esposizione parenterale possono essere trasmessi batteri, protozoi miceti e virus.

Tuttavia, maggior rilevanza hanno i virus dell’epatite Bee e l’HIV, per la prevalenza nella popolazione, l’ efficacia della trasmissione e la gravità della malattia che ne può conseguire.

In relazione alle diverse attività svolte nell’ ospedale si possono distinguere differenti modalità di esposizione, a cui corrisponde una maggiore o minore gravità del rischio:

 

−       manipolazione diretta di agenti biologici: riguarda la sezione di microbiologia del laboratorio centrale;

−       manipolazione di sangue e materiali biologici infetti: riguarda il laboratorio centrale, l’anatomia patologica, il laboratorio di ematologia e, in misura minore, tutte le situazioni dell’ospedale in cui vengono fatte analisi di laboratorio;

−       assistenza al paziente di tipo chirurgico: comprende attività che comportano contatto con sangue ed impiego di strumenti che facilitano la trasmissione dell’infezione (bisturi);

−       assistenza al paziente di tipo medico: comporta un contatto con sangue più limitato (es. prelievi ematici);

−       manipolazione effetti del malato e rifiuti infetti.

Il D.Lgs. n. 626/1994 e D.lgs 81/2008 prevede, nei confronti del personale esposto a rischio biologico, l’obbligo di sorveglianza sanitaria e di mettere a disposizione «vaccini efficaci» per i lavoratori non immuni. La sorveglianza sanitaria, tuttavia, a differenza di altri rischi, non può essere rappresentata da visite e accertamenti effettuati a scadenze prefissate, che avrebbero ben poca efficacia nel prevenire le infezioni nosocomiali professionali. E’necessario, piuttosto, attivare una strategia articolata che preveda:

−       l’accertamento dello stato immunitario;

−       la somministrazione di vaccini ove disponibili;

−       il monitoraggio ed il trattamento tempestivo degli infortuni che possono costituire un’occasione di contagio (punture con aghi infetti, ecc.);

−       la registrazione e la valutazione epidemiologica dei casi di malattie infettive insorte nel personale.

Il protocollo predisposto prevede di base l’accertamento dello stato immunitario relativamente all’epatite B e C, alla TBC, alla rosolia (per le donne assegnate ai reparti pediatrici), nonché all’infezione da HIV (previo consenso dell’interessato che è l’unico a conoscere il risultato del test). Il programma di vaccinazione riguarda l’epatite B, la TBC, la rosolia (nei casi suddetti) e il tetano per il personale dell’anatomia patologica, gli ausiliari che effettuano manipolazione dei rifiuti e gli operai dei servizi tecnici.

La vaccinazione antitubercolare per il personale sanitario e la profilassi antitetanica per alcune categorie di lavoratori erano obbligatorie anche in passato in base a precedenti norme di legge. Merita osservare, tuttavia, che il D.Lgs. n. 626/1994 non configura l’obbligo del lavoratore di vaccinarsi, ma solo quello del datore di lavoro di mettere a disposizione il vaccino e di garantire un’idonea informazione affinché il lavoratore possa valutare adeguatamente l’opportunità di vaccinarsi, cosa che con l’introduzione del d.lgs 81 08 è stata modificata in quanto ha reso i vaccini obbligatori per alcuni soggetti a rischio.

Gli aspetti fin qui trattati sono strettamente connessi ad un’altra problematica, che riguarda la prevenzione delle infezioni nosocomiali iatrogene, trasmesse cioè dall’ operatore sanitario al paziente. Rientrano in questo ambito interventi profilattici tradizionalmente di competenza della Direzione Sanitaria quali il controllo periodico delle coprocolture, dei tamponi faringei, o la vaccinazione antitifica.

Si è ritenuto di non dover confondere i due aspetti, quello della protezione del lavoratore e quello della protezione del paziente, in quanto rispondenti a logiche sostanzialmente differenti e regolamentati da disposizioni di legge molto diverse.

Pertanto, nel protocollo di sorveglianza sanitaria, intenzionalmente non sono stati inclusi tali accertamenti o vaccinazioni. Si ritiene comunque opportuno che la Direzione Sanitaria definisca uno specifico protocollo relativo a questa materia (quella che veniva definita medicina preventiva) e che i due aspetti siano poi gestiti in modo unitario, pur nella distinzione dei rispettivi ambiti di competenza.

Offriamo consulenza e assistenza per la valutazione dei rischi nelle strutture ospedaliere, compila il modulo in alto a sinistra  o chiama il numero verde 800146627.

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© Giulio Morelli Consulente per la sicurezza e haccp. Corsi di formazione online e in aula
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