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I tumori professionali, questi sconosciuti

Se con molta fatica si è riusciti a imporre all’attenzione generale il problema degli infortuni sul lavoro, altrettanto non si può dire delle malattie professionali. In particolare dei tumori “occupazionali”, nonostante la presenza di numerosi agenti cancerogeni negli ambienti di lavoro, riconosciuti come tali dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Non può sorprendere, dunque, che anche il riconoscimento dell’origine occupazionale di queste patologie da parte degli enti assicuratori sia complicato; né tanto meno che non esistano al riguardo statistiche capaci di rappresentare il reale impatto dei tumori professionali. La difformità delle stime disponibili è confermata da alcune rilevazioni ufficiali.Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità ogni anno si verificano tra i 90mila e i 200mila casi.
L’Eurogip (l’organismo francese che lavora in collaborazione con gli Enti previdenziali dei Paesi dell’Unione europea) ha redatto un primo studio comparativo, presentato in un seminario promosso dall’Inca a Bari il 14 e 15 dicembre scorso per tentare di tracciare un quadro di riferimento su ciò che accade nel vecchio continente.Secondo la ricerca, se in tutta Europa vigono sistemi assicurativi obbligatori fondati su tabelle che indicano i principali agenti cancerogeni e le corrispondenti patologie professionali, non tutti gli Stati si sono dotati di sistemi complementari (extra tabellari) per aiutare l’individuazione delle nuove sostanze nocive e, quindi, un’azione preventiva in grado di stare al passo con l’e volu zione degli studi scientifici.
Questo perché non tutti gli agenti cancerogeni sono noti e, spesso, ciò che prima era considerato innocuo può successivamente rivelarsi fatale per la salute.Sull’influenza dei sistemi assicurativi misti o complementari per il riconoscimento dei tumori professionali, lo studio di Eurogip dedica un capitolo importante.
L’Italia viene indicata come il Paese che riconosce il maggior numero di tumori professionali non compresi nella tabella di legge (circa il 15% dei casi complessivi). In Germania e in Francia, lo stesso sistema assicurativo misto rappresenta rispettivamente solo l’1,1 e il 2,2% dei casi di tumori riconosciuti nel 2008.
In Belgio, Lussemburgo, Svizzera e Austria, addirittura, l’influenza del sistema complementare è considerato nullo o assai marginale. Mentre Svezia e Spagna sono gli unici Paesi a non essersi dotati di un sistema extra tabellare. Il che contribuisce a non avere un quadro certo del fenomeno.
“Peraltro – spiega Marco Bottazzi, coordinatore della consulenza medica legale dell’Inca – i dati di Eurogip confermano che il tema principale è quello dello scarso numero dei tumori per i quali viene posta la diagnosi professionale e che vengono quindi segnalati dai diversi sistemi di registrazione”.Una forbice così ampia rispecchia anche i comportamenti dei vari Paesi espressi nel rapporto tra numero dei tumori professionali riconosciuti dagli enti nazionali preposti e la popolazione assicurata.Secondo Eurogip, nel 2006, la Francia ha riconosciuto 1.511 casi, a fronte di oltre 18 milioni di persone assicurate (10,44); seguono il Belgio con 245 casi e una popolazione di 2.483.948 (9,86), la Germania con 2.194 casi e 33.382.080 assicurati (6,57), l’Italia con 911 e 17.686.835 (5,15), la Danimarca con 135 casi e 2.710.462 (4,98), il Lussemburgo con 13 casi e una popolazione di 279.810 (4,65), la Svizzera con 128 casi e 3.651.709 (3,51), l’Austria con 84 casi e una popolazione di 3.089.167 (2,72), Svezia con 43 casi e una popolazione assicurata di 4.341.000 (0,99), la Repubblica Ceca con 38 casi e una popolazione di 4.497.033 (0,85).
Ancor più sorprendente è il dato della Spagna, ultima in classifica, che nel 2006 ha r ic on os c iu -to soltanto 4 casi di tumori professionali a fronte di una popolazione assicurata di 1 5 . 5 0 2 . 7 3 8 (0,03).C o n f r o n -tando i dati del 2008, anche se in questo anno si registra un discreto aumento dei tumori professionali riconosciuti, la situazione negli stessi Paesi (ad esclusione della Spagna, per la quale non esistono dati aggiornati) si registra un sostanziale immobilismo.In testa alla classifica la Germania (2.240), seguono Francia (1.898), Italia (694), Belgio (219), Danimarca (187), Finlandia 168), Austria (91), Repubblica Ceca (24), Svezia (19) e, infine, Lussemburgo (16).I dati italiani del 2009 hanno visto un marcato aumento delle denunce di malattia professionale: merito dell’entrata in vigore delle nuove tabelle. L’aumento però non ha riguardato i tumori professionali, il cui numero è rimasto invariato rispetto all’anno precedente (circa 2000).L’esiguità del numero dei tumori professionali riconosciuti nei vari Paesi (5.556 casi complessivi) è ancor più significativa se si considera che le indagini epidemiologiche si sono concentrate soprattutto sui tumori da amianto, escludendo le altre patologie, che pure esistono.
Ciò spiega perché la parte preponderante dei casi denunciati è riconducibile alla sola esposizione ad amianto (4.733 tumori bronco-polmonari e mesoteliomi), sui quali esiste una letteratura scientifica accertata. La messa al bando di questa fibra in tutta Europa, dunque, non è stata sufficiente a debellare la piaga delle patologie correlate. Ci si continua ad ammalare e a morire di cancro da amianto e, addirittura, i settori produttivi interessati non sono più solo quelli tradizionalmente noti. Alessandro Marinaccio, del dipartimento di medicina del lavoro dell’Inail, sottolinea come in Italia l’uso industriale, nonostante il divieto sancito con la legge n. 257 del 1992, continui a essere sostenuto.Secondo il Registro Nazionale dei Mesoteliomi, l’edilizia è il settore con il più alto numero di casi, ma recenti studi mettono in evidenza anche altre situazioni di rischio in circostanze inattese, quanto attuali. La fibra è presente nelle macchine del caffè usate dai baristi, negli impianti di frenata degli ascensori e delle automobili, nonché nei locali adibiti alla conservazione delle munizioni.In questo contesto, parlare di prevenzione e formazione, nonché della necessità di sviluppare indagini sistematiche epidemiologiche sui tumori professionali, continua a essere un imperativo categorico se si vuole veramente affermare una nuova cultura della sicurezza.
A maggior ragione, se si guarda alla lista degli agenti cancerogeni certificata dagli ambienti scientifici che provocano malattie professionali su cui le indagini sono scarse e la sorveglianza sanitaria sui lavoratori esposti viene attivata poco o per niente.L’ex Ispesl fornisce dati allarmanti al riguardo: in Italia per i 21,8 milioni di occupati ci sono 4,2 milioni di esposti a cancerogeni, pari al 24%.Ciò significa  che quasi un lavoratore su quattro entra in contatto con sostanze tossiche. Una percentuale altissima confermata anche dalla stessa Agenzia internazionale per la Ricerca sul cancro (Iarc) quando afferma che 44, tra i 95 agenti cancerogeni considerati certi per l’uomo, sono di natura professionale (poco meno del 50%). “La sottostima dei tumori professionali – spiega Bottazzi – fotografa la scarsa propensione delle figure sanitarie (medici curanti, specialisti, ecc.) all’individuazione dell’origine professionale.Il confronto avvenuto durante il convegno di Bari tra le diverse esperienze europee di emersione del fenomeno, nel confermare che laddove si effettuano delle indagini è possibile rilevare altri casi, ha anche sottolineato come il riconoscimento dei tumori professionali non fotografi solo esposizioni remote, ma spesso situazioni espositive ancora in atto e abbia un’importante valenza in termini di prevenzione.

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